Un “Burdél de Paciùg” al Buontalenti

Il 24 maggio in 3I era assente Giulio. Nel corso della mattinata però ha manifestato la sua presenza attraverso l’invio di foto e video che ritraevano uno scenario decisamente diverso da quello dell’aula scolastica, ma che ogni edizione del Telegiornale ci presentava in quei giorni: strade coperte di melma e cataste di mobili ed elettrodomestici cosparsi di fango ai lati delle strade e fuori dalle case.

Abbiamo così scoperto di avere in classe un “burdél de paciùg” (l’espressione in dialetto romagnolo corrisponde all’italiana: “angelo del fango”) che ha prestato servizio di volontariato in Romagna per aiutare le famiglie colpite dall’alluvione del 16 maggio, spalando il fango dalle loro abitazioni.

Un paio di giorni dopo, quando abbiamo ritrovato Giulio a scuola, si è scatenata la nostra curiosità e lo abbiamo travolto di domande:

1. Che cosa ti ha spinto ad andare lì?

 

Da anni faccio volontariato per l’associazione Bethel che si occupa di promuovere la colletta di beni di prima necessità perle persone in difficoltà.

Appena ho visto le immagini dell’Emilia Romagna alluvionata, mi è venuta l’idea di andarci. Poi l’associazione ha organizzato un gruppo di lavoro ed io sono stato tra i primi ad aderire alla proposta.

 

2. Qual è stata la prima sensazione che hai avuto quando hai raggiunto la Romagna?

 

Il primo momento è stato la visione di un’Apocalisse, un film. Sono stato a Cesena e Forlì. E anche se era già passato qualche giorno dall’esondazione dei fiumi e quindi l’acqua si era ritirata, c’erano macchine piene di fango abbandonate nei fossi, sugli alberi, dappertutto, con i biglietti per il carro attrezzi e, sui vetri delle auto coperti di fango secco, le scritte lasciate con le dita: “Ce la faremo”

Io a casa non ho la televisione quindi avevo visto immagini sui social. Dal vivo tutto è molto più forte.

 

3. Racconta come si è svolto il lavoro…

 

Gli strumenti noi li avevamo portati: pale di plastica da neve, secchi, tiraacqua, guanti, pale di metallo. L’organizzazione sul posto era buona. Là il territorio era diviso a zone: zone più urgenti, zone meno urgenti; noi ci siamo recati ad un check point e ci hanno indirizzato alla zona che in quel momento aveva più bisogno di assistenza.

Fisicamente ho tolto l’acqua da una casa, ho spostato mobili, letti, lavastoviglie; c’era l’esercito perché alcune zone erano pericolose.

Ho lavorato un giorno intero con mio padre, un altro membro dell’associazione e altri volontari. È stata la prima volta che ho operato in maniera così pratica perché l’associazione in cui svolgo volontariato si occupa principalmente di raccogliere derrate alimentari.

 

4. Che ricordo ti rimane di quest’esperienza?

Un ricordo positivo: la collaborazione. Il lavoro fatto insieme. La pausa in comune durante l’ora di pranzo, il carrello che distribuiva bottigliette d’acqua, i volontari di ogni età, dai ragazzini che non andavano a scuola, alle persone adulte, agli anziani. Ho avuto modo di scambiare qualche parola con dei ragazzini e di farci due tiri a pallone.

Un ricordo negativo: il dispiacere di vedere case e auto distrutte. Lì le macchine erano bloccate, qualcuno andava a piedi, qualcuno in bici, ambulanze ed altri mezzi erano smontati, come quando su Fortnite monti le ruote sulla macchina.

Se accadesse a Montelupo, dove abito io, non avrei la forza di ricostruire, ma cambierei residenza per vivere, ripartirei da altrove.

Sarebbe stata un’esperienza unica quella di precipitarsi lì all’indomani dell’alluvione e farne un’esperienza di volontariato a livello di gruppo classe.

https://youtu.be/ZUFn8dP1QF8